LE "RADIOSE GIORNATE" DELLA PRIMAVERA DEL '45     
LA VICENDA DI VALDOBBIADENE: COME GLI ASSASSINATI VENGONO FATTI PASSARE PER ASSASSINI                 


VALDOBBIADENE. 2 MAGGIO 1997: SIGNIFICATO DI UN RITO
 
 
    Da oltre cinquant'anni 45 marò dei battaglione N.P. della Xa Flottiglia Mas assassinati a Valdobbiadene chiedono con i loro familiari un ricordo del loro olocausto. Finalmente il 2 maggio 1997 è possibile porre un ricordo, una lapide nel cimitero locale con i loro nomi in memoria del loro sacrificio, di null'altro colpevoli se non di portare una divisa militare.
    Quando il 9 marzo 1945 il Btg. N.P. di stanza a Valdobbiadene partì per il fronte dei Senio per contrastare l'invasione dell'ottava armata inglese, rimasero di presidio a Valdobbiadene poco più di una quarantina di marò, quelli meno adatti all'impegno della guerra, perchè più anziani o non in buona salute.
    Il battaglione dette l'addio alla bella Valdobbiadene, alla sua gente ed anche ai pacifici partigiani dei quali al comando erano ben noti nomi e indirizzi e comunque lasciati indisturbati.
Prima della partenza e durante la permanenza dei battaglione in Valdobbiadene erano state liquidate tutte le pendenze per eventuali danni involontariamente causati. Furono forniti notevoli viveri all'asilo, all'ospedale, al ricovero dei vecchi, all'ufficio assistenza del Comune, fu integrata l'annonaria, ripristinati i trasporti: rifornito di sale la popolazione. Per il quieto vivere di Valdobbiadene sacrificarono la propria vita tre marò per disinnescare le bombe a farfalla ed altre insidie lanciate dagli aerei inglesi.
    Il battaglione N.P. partì per il fronte sud, confortato dal saluto cordiale della popolazione, con il voto perchè la sorte non fosse avversa.
    Il 26 e 27 aprile 1945, a guerra conclusa, non potendo più ii presidio N.P. di Valdobbiadene raggiungere il battaglione che retrocedeva diretto a Venezia, considerati gli ottimi rapporti con la popolazione e per questo non dovendo temere nulla, si arrese alla brigata comunista "Mazzini" della zona, agli ordini dei Comandante Mostacetti.
    Furono consegnati, automezzi, materiali e valori, con scambio di ricevute dalle parti. In attesa delle forze armate alleate, gli N.P. furono acquartierati nella locale caserma della Finanza. Nella notte dal 4 al 5 maggio col pretesto di essere tradotti in un campo di concentramento, secondo gli ordini impartiti dai comandi alleati, i destinati invece alla morte vennero divisi in tre gruppi.
    Il primo fu caricato sopra un camion e tradotto in locaiità "Saccol" di Valdobbiadene. Qui i marò furono spinti in una galleria, uccisi a raffiche di mitra e bombe a mano. La galleria fu fatta saltare con la dinamite occultando così il massacro. 
    Il secondo gruppo fu tradotto in località "Medean" di Combai. I marò legati con filo di ferro alle mani dietro la schiena, furono sommariamente giustiziati, depredati e poi bruciati.
    Uguale sorte atroce toccò al terzo gruppo condotto in località "Bosco di Segusino".
    Questo barbaro eccidio come altri su innocenti inermi sopratutto a guerra finita, a pacifica resa avvenuta è stato volutamente sottaciuto per oltre cinquant'anni.
    Quanto durerà ancora questa complicità nel silenzio, nella menzogna, nell'odio?
    Onore ai nostri Caduti, a tutti i Caduti per la Patria.
 
 
DECIMA COMANDANTE! (numero unico) Primavera 1997. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

DIVORATI DALL'ODIO
I.M.
 
 
    Parole dure le nostre, ma spontanee e perciò sincere, scaturite dalla lettura di una «memoria» che i partigiani di Valdobbiadene TV hanno notificata al locale periodico «Endimione nuovo» qualche mese fa.
    La riproduciamo, questa «memoria», quasi per intero, liberandola di alcune parti (che poco tolgono alla solennità (e sorprendente malvagità) del testo, unicamente perchè lo spazio a nostra disposizione è limitato.
     Giovanni Buttazzoni, il nostro Giovanni Buttazzoni, ha chiesto al sindaco di Valdobbiadene l’affissione di una targa a ricordo dei Caduti della RSI. Ragazzi in divisa, che 50 anni fa eroicamente si batterono nel confine orientale della Patria, per impedire alle orde di Tito di straripare al di qua dell'Isonzo e del Tagliamento. 
    Quelle orde, che le brigate rosse della «Natisone», le stesse che avevano assassinato i partigiani dell'«Osoppo», apertamente appoggiarono per ordine di Togliatti e del partito comunista di Udine. Ragazzi, i nostri della Xa Mas, che, a fronte gli slavi, avevano alle spalle chi, per aiutare gli slavi, su loro sparava. Serve a qualcosa il commento dopo fatti del genere? Non crediamo, e perciò ce ne asteniamo.
 
 
Dal locale periodico «Endimione nuovo»:
 
    DOPO 50 ANNI Giovanni Buttazzoni, ex milite della Xa Mas, dice che le cose andarono storte per l'Italia. Certo! Ma per quell’ltalia che loro volevano ancora fascista, guerrafondaia, imperiale e sotto il tallone tedesco. 
    Buttazzoni si lamenta: « ... fummo demonizzati, discriminati e privati di alcun diritti». Allora si dimentica che lui ed i suoi camerati sono stati generosamente amnistiati, hanno avuto il voto, il lavoro al posto della galera o della vera discriminazione. O bisognava forse considerarli meritevoli dopo i misfatti compiuti? L'interpellante scrive ancora che durante gli ultimi 6 mesi del conflitto il suo battaglione di 650 uomini «N.P. Xg Mas» fu dislocato a Valdobbiadene, Bigolino e Vidor per «addestramento di fanteria». Forse, per un lapsus, ha confuso addestramento con rastrellamento, come voleva Hitler, per ripulire le zone della Resistenza e tener libere le vie del Nord per il battuto esercito (su tutti i fronti), per rendere possibile la sua inevitabile ritirata e ritardarla. E lui con i suoi era un fedele esecutore che faceva scorrere giovane sangue italiano per la «Patria» Italia, e come un sordo non sentiva il grido «Basta»! della vera Patria. «Pace e libertà!» questo gridava quella Patria che lui contribuiva a distruggere!
    Il Buttazzoni scrive ora che 40 marò furono «giustiziati» negli ultimi giorni di guerra ma non sa in base a quali leggi, eppure ha avuto 50 anni di tempo per informarsi circa le leggi di guerra vigenti allora. Lui ha mai saputo che tutti i grandi e cruenti sconvolgimenti che investono anche continenti purtroppo provocano inevitabilmente anche qualche fatto grave e increscioso frutto del terribile vissuto. Circa la richiesta al Sindaco di Valdobbiadene per «costruire un tradizionale monumento», cioè come quelli dedicati agli eroi di guerra, o una «grande targa» in bronzo e in vista per lo stesso motivo diciamo semplicemente che nessuno stato e quindi neanche l'Italia ha mai eretto monumenti per i nemici della libertà e dell'indipendenza del Paese stesso.
    E quando il richiedente parla di «verità storica» non può riferirsi alla verità fascista, di qualche improvvisato «storico» ex missino ora in Parlamento ma -deve accettare la verità seriamente «storica», riconosciuta in campo internazionale che è stata scritta nella primavera del 1945 e che è ora patrimonio culturale di tutti i popoli che credono nella libertà e nella giustizia.
 
    Il Direttivo Ass. Naz, Partigiani d'Italia de Quartier del Piave
 
 
L’ULTIMA CROCIATA N. 4. Aprile 1995. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

"LE RADIOSE" GIORNATE DI VALDOBBIADENE. Elenco degli assassinati
 
 
Pubblichiamo anche la lettera, lievemente emendata del superfluo, che Bruno Lazzarotto, figlio di un Martire delle «radiose giornate» un paio di mesi fa ha inviato al Direttore di «Endimione nuovo», per caldeggiare l'affissione della targa.
 
QUALE FIGLIO DI UN MARTIRE DELLE "RADIOSE GIORNATE"...
Roma, 18.1.1995
 
    Gentile Direttore,
    mi riferisco al contenuto della lettera qui allegata e titolata «Dopo 50 anni». Quale figlio di un martire delle «radiose giornate», ho il dovere di precisare che la domanda inoltrata al locale sindaco, intesa alla affissione di una targa in memoria dei Combattenti che immolarono la loro vita in una lotta disperata per un Ideale, non dovrebbe incontrare ostacoli di sorta, anche se Caduti per una Causa contingentemente «perdente». Mi astengo, al riguardo, da qualsiasi polemica che, fra l'altro, ritengo inutile e dispersiva.
    Patirono, si batterono e caddero per l’Italia e a prescindere da ogni eccesso ed orrore, che una guerra civile fatalmente comporta, cosi il loro sacrificio è e sarà per il futuro luminosa testimonianza di fede e di coraggio.
    Non sono di certo i comunisti che possono impartire lezioni in materia. La Nazione, l'Italia, la Patria sono sempre stati concetti estranei ai loro sentimenti, alla loro logica, alle loro scelte, ieri ed oggi.
    Le rivolgo quindi anch'io una viva istanza, perchè voglia rendersi promotore di un atto (affissione di una targa) che ricordi alle generazioni future ed ai tanti immemori di oggi il dolore ed il sangue profusi anche e soprattutto dalla parte dei «vinti». Non vi è altra strada da percorrere se veramente si vuole costruire un'Italia migliore, una Patria giusta con ognuno dei suoi figli.
 
Bruno Lazzarotto
 

 
L’ULTIMA CROCIATA N. 4. Aprile 1995. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
 
 
    Elenco degli assassinati.
 
BECCE Cav. Luigi: pensionato, da Valdobbiadene, di anni 74, semiparalizzato, prelevato in casa ed assassinato dopo sevizie nella località di Segusina il 4 maggio 1945.
BECCE Renato: da Valdobbiadene, figlio del precedente, prelevato in casa ed assassinato dopo sevizie nella località di Segusina il 4 maggio 1945.
Dr. CECCARELLI: Commissario prefettizio, morto in conseguenza di sevizie e torture praticate durante la detenzione dal 30 aprile al 4 maggio 1945. Il cadavere fu prelevato a Valdobbiadene e portato in località Segusina.
LAZZAROTTO Alessandro da Guia Valdobbiadene, dopo detenzione di 3 giorni, torturato nell'asilo di Miane, ucciso il 3 maggio 1945 ore 17 nel cimitero di Miane.
LAZZAROTTO Alessandro da Guia Valdobbiadene, dopo detenzione di 3 giorni, torturato nell'asilo di Miane, ucciso il 3 maggio 1945 ore 17 nel cimitero di Miane.
MARCOLIN Luigi: da Valdobbiadene, operaio meccanico.
PORETTI Michele, da Valdobbiadene, bracciante.
RUBINATO Vittorio: da Valdobbiadene, elettricista.
CIMIONI Pietro: da Valdobbiadene, agente daziario sottoposto a lunghi giorni di torture, fu trasportato in montagna, in località sconosciuta, e assassinato.
Maestro VALLERA Antonio: da Valdobbiadene, insegnante elementare morto tra i tormenti e le torture durante la detenzione, il cadavere è stato trasportato a Segusina.
VERONAZZO Giuseppe: da Valdobbiadene, studente, torturato ed assassinato il 4 maggio 1945. PELLEGRINI Antonio: da Valdobbiadene, invalido. Morto in seguito a torture.
NICOLA Antonio: da Valdobbiadene, impiegato, come sopra.
FRANCESCHI Marino: militare della Xa Mas, torturato e rinchiuso in una caserma nella zona di Saccol. Finito mediante scoppio di mina il 6 maggio 1945.
GIANNETTO Giuseppe, idem.
FALCO Sebastiano, idem., APRILE Vittorio, idem
GIBERTONI Euro, idem.
MAESTRINI Segio, idem.
PINESCHI Leopoldo, idem.
SERVETTI Mario, idem.
CAPPELARO Leo, idem.
SIMEONI Italo, idem.
 
Nella suddetta caserma di Sacol e nel campo di massacro di Segusina, come pure in una fossa comune nel cimitero di Valdobbiadene sono state rinvenute oltre 40 salme che nessuno ha potuto identificare e che appartengono a fascisti o presunti tali, militari della X Mas o appartenenti ad altre formazioni della Repubblica Sociale Italiana.
 
CAVALLIN Anterino: abitante a Valdobbiadene (fraz. Bigolino); operaio elettricista, assassinato. FERRUZZI Dr. Aldo: residente a Valdobbiadene, impiegato presso la Cnfla, assassinato sulla strada.
SARTORI Olivo: residente a S. Stefano, operaio, prelevato in casa ed assassinato in montagna. Era orfano di guerra.
MERCURI Danilo: residente a Valdobbiadene, impiegato, assassinato sulla strada.
PATTINI Ampalio: impiegato residente a Valdobbiadene, assassinato.
PATTINI Ileana: figlia del sopradetto, sedicenne, assassinata, unitamente al padre.
SCOPEL Romeo: da Valdobbiadene, assassinato in montagna.
ZILLI Agostino: contadino da Guia, assassinato.
DE MARCHI Giuseppe: calzolaio da Valdobbiadene morto in seguito a ferite.
MOZZETTO Luigia: da Valdobbiadene, assassinata.
BARTOLIN Romolo: da Valdobbiadene, Guia, bracciante agricolo, assassinato.
MALACART Italo: da Guia, bracciante, prelevato ed assassinato in montagna.
BARTOLIN Orlando: da Guia, contadino prelevato in casa ed assassinato in montagna. BARTOLIN Maria Zelinda: da Guia, sorella del precedente, prelevata in casa ed uccisa.
DE MARTIN Canna: da Valdobbiadene, stagnino, assassinato in montagna.
CRIVELLOTTI Italo: sedicenne, da Valdobbiadene, garzone fornaio, prelevato ed assassinato in montagna.
 
    Assassinati dopo lungo periodo di detenzione in località sconosciute secondo elementi forniti da Comando della Brigata Mazzini:
DE BENEDICTIS Paolo: della Xa Mas.
MORELLI Francesco: idem.
RUBINO Ettore, idem.
DA RIVA Giuseppe: idem.  
BERNOCCHI Giovanni, operaio meccanico.
 
    A tutti, barbaramente assassinati, fu sistematicamente negato ogni conforto religioso. Nella zona montana del Cesen, Mariech e Salvadella sono notoriamente sepolte centinaia di salme sconosciute, che appartengono certamente ad elementi fascisti, marò della Xa Mas e di altre formazioni di militari. 
 
 
L’ULTIMA CROCIATA N. 4. Aprile 1995. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

 
 Quale storia si racconterà nelle nostre scuole?
 
 
RIPORTIAMO QUI IL VOLANTINO DISTRIBUITO A VALDOBBIADENE NEL MAGGIO 1997 DA "SOGGETTI E GRUPPI ANTIFASCISTI DELLA MARCA TREVIGIAN"
 

 
I MASSACRATORI TORNANO NEI LUOGHI DEI MASSACRI
 
 
Da qualche anno in qua, puntualmente a maggio, reduci ed ex combattenti fascisti si danno appuntamento a Valdobbiadene per commemorare la "X flottiglia MAS". Non solo gagliardetti e cimeli, ma saluti romani e visibilità sociale. Vengono da tutto il nord-italia sic! , portando con sé la destra più becera e squadrista, che si raccoglie sotto sigle nuove e vecchie (MSI, Gioventù Nazionale, Alleanza Nazionale, ecc.). Non solo commemorazione, ora vogliono anche una lapide nel cimitero di Valdobbiadene per ricordare "gli eroi caduti per la patria". Quale patria, quali eroi?. La patria è quella fascista di Mussolini e la repubblica sociale di Salò. E gli eroi?
La XA Mas Creata agli inizi degli anni 40 quando l'Italia fascista entrò in guerra al fianco della Germania nazista, da Valerio Borghese, comandante di questa organizzazione, era una squadra d'azione militare particolarmente addestrata di circa 10.000 uomini. Tra la fine del '44 e l'inizio del '45 questa forza viene in gran parte spostata dal Piemonte al Veneto con lo -scopo di far fronte e liquidare la lotta partigiana di liberazione che si andava sviluppando con intensità e radicamento sociale. Era composta da vari battaglioni, i cui motti andavano da "Più buio che a mezzanotte non viene" a "Scatto-travolgo-vinco", "Mai morti", "O mare rendermi le mie navi, i miei morti, ma rendimi la gloria", "A spada tratta".   Questi battaglioni  vennero stanziati principalmente a Valdobbiadene, Vittorio Veneto, Conegliano, Vidor e Pieve di Soligo,, e portarono con sè vicende sanguinose, rastrellamenti, fucilazioni di partigiani, case di civili alle fiamme, ruberie, saccheggi, torture e sevizie.
(Per maggiori informazioni vedi: "La Xa Mas in provincia di Treviso", Federico Maistrello, 1997, Ist. Storia della Resistenza TV)
Reduci, nostalgici, nuove generazioni di neofascisti che continuano a rifarsi e ad identificarsi con queste pratiche, chiedono da qualche anno, di porre una lapide nel cimitero di Valdobbiadene in memoria di queste formazuioni fasciste, cercando di revisionare la storia e di trovare legittimità politica e visibilità.
 NON SONO UGUALI i morti partigiani - combattenti per la libertà - ai morti fascio: che consapevolmente accettarono -di torturare e uccidere chi si opponeva ad una società autoritaria, razzista e discriminatoria (poco si racconta delle persecuzioni di omosessuali e delle carneficine di zingari, ad esempio).
A chi sostiene deliri quali "la superiorità della razza", e fa dello squadrismo la propria pratica politica (vedi gli ultimi fatti successi a Padova, Trieste e Roma) non deve essere concessa né agibilità politica né fisica.
Invitiamo la popolazione di Valdobbiadene e di tutto il territorio trevigiano a protestare presso le amministrazioni comunali affinché né lapidi, né manifestazioni di questo tipo vengano concesse.
 
 
SOGGETTI E GRUPPI ANTIFASCISTI DELLA MARCA TREVIGIANA
C.I.P. Valdobbiadene
  
 

GIOVANI DI AN RICORDANO I CADUTI DI SALO'. Picchiati dagli autonomi. Oderzo (Treviso)
 
 
    E’ di alcune persone ferite, sia pure in modo leggero, e di una ventina di giovani identificati dalle forze dell'ordine il bilancio di alcuni tafferugli che si sono verificati ieri a Oderzo, nel trevigiano, in occasione della commemorazione dei 126 allievi ufficiali della Repubblica sociale italiana uccisi nella primavera del 1945 dai partigiani. Gli scontri hanno avuto per protagonisti da un lato una sessantina di autonomi, giovani appartenenti ai centri sociali di Padova e Venezia e militanti di Rifondazione Comunista e dall'altro un gruppo di simpatizzanti di Alleanza Nazionale.
     I tafferugli, sedati da polizia e carabinieri, sono avvenuti all'esterno del Duomo cittadino, dove era in corso la messa in onore degli allievi uccisi, e dove i reduci della Repubblica sociale italiana hanno gettato una corona di fiori. Il corteo è stato oggetto di un lancio di sassi e uova, al quale i simpatizzanti di destra hanno reagito venendo alle mani con avversari. Al termine degli scontri alcuni giovani sono ricorsi alle cure dei sanitari. Una ventina di persone è stata successivamente identificata dalle forze dell'ordine.
 
 
IL GIORNALE Quotidiano del 26 Maggio 1977.

LA STORIA AL SERVIZIO DELLA FAZIONE
Mario Sannucci
 
 
    Un articolo di questa pagina pone domande di profondo contenuto morale e sociale alle quali è doveroso dare qualche risposta.
    Ma perché esse non lascino spazio a confutazioni elusive, a motivazioni che aggirino l'argomento di cui sono oggetto, partiamo dall'esame dei fatti, quali sono esposti in un documento inoppugnabile: il rapporto dettagliato che il maresciallo Sotgiu Giuseppe della Stazione Carabinieri di Valdobbiadene, inviò il 17.6.1950 alla Procura della Repubblica di Treviso.
    Il testo del Rapporto è riportato nella pagina di fronte.
    I fatti di questo racconti non sono contestabili. Ed è proprio dalla conoscenza di questi fatti che risulta l'assurdità del comportamento degli amministratori di Valdobbiadene.
    Dalla doverosamente concisa cronaca, anche se agghiacciante nel contenuto, del maresciallo Sotgiu, risaltano gli aspetti disumani dell'episodio.
    La guerra era finita da dieci giorni. Le vittime erano ragazzi di 20 anni. Il reparto era partito per andare a combattere nella linea Gotica contro gli alleati o sul fronte orientale per difendere i confini nazionali dagli slavi invasori.
    Erano ragazzi di venti anni. Erano stati lasciati al deposito di Valdobbiadene dal reparto partito per il fronte sud contro gli eserciti degli alleati. In 5 mesi di soggiornoavevano tenuto un comportamento corretto con la cittadinanza. Vestivano una divisa che li aveva educati alla disciplina che imponeva a chi la indossava l'osservanza della legge militare compreso il rispetto della vita e dei principi umani verso i prigionieri.
    Erano comandati da ufficiali che prima dell'8 settembre avevano combattuto in Russia, Albania, Africa settentrionale e sui Mas e non da un Com. Mostacetti, o dal criminale Mario Toffanin comandante della Garibaldi.
    Si fidarono della parola dei Partigiani, consegnarono le armi con la promessa della libertà. Furono torturati, trucidati e per questo episodio di criminale ferocia i reduci non hanno chiesto l'intervento della giustizia ma solo una lapide commemorativa.
    La richiesta ha incontrato la strenua opposizione dei responsabili del comune che la trascinano avanti da anni mascherandola dietro squalificanti astuzie burocratiche che riuscirebbero incomprensibili ad ogni cittadino rispettoso dei rapporti civili,
    Il caso non è isolato, ce ne sono stati altri.
    Per esempio i sindaci dei nove comuni istriani che hanno rifiutato che si girasse il film «Porzus» sul loro territorio.
    E' il dominio del principio dell'omertà che vuole nascondere le foibe, Porzus, Rovetta, Schio, i 44.000 uccisi a guerra finita, che rifiuta le ricerche storiche di de Felice e che purtroppo i cittadini accettano supinamente senza reazioni critiche come se questo riuscisse a nascondere la storia.
    Ma quello che è più grave, è che tale cultura venga inculcata nei giovani.
    Ne è prova il volantino che riproduciamo che fu distribuito ai cittadini in occasione del nostro incontro di maggio.
    L'ingenua truculenza da film dell'orrore, le invettive, le generiche accuse a malefatte mai avvenute né precisate, i riferimenti storici ripescati nelle vicende di 80 anni fa, la versione distorta dalla faziosità e dalla scarsa conoscenza della storia, sono chiaramente i frutti dell'indottrinamento basato su una ideologia assurta ormai a fede religiosa, condannata e rifiutata dalla gran parte dei popoli civili.
 
AI GIOVANI
    E allora ci rivolgiamo a quei giovani.
    Voi avete compilato un foglio gonfio di retorica, di aggressività, di minacce, di accuse false, come quelle che vi ha dettato l'Istituto della Resistenza, sulla Decima, che approfitta della
vostra ignoranza della storia.
    Ma la vostra aggressione agli anziani sopravvissuti, che oggi vogliono solo ricordare i compagni caduti, in realtà è diretta a quei ragazzi di cinquanta anni fa che ne furono protagonisti, che voi accusate di essersi macchiati di tutte le malefatte del vostro volantino.
    Ma quei ragazzi avevano venti anni, come li avevano i morti della lapide e come credo abbiate oggi alcuni di voi. Pensate davvero che alla vostra età si possano nutrire i sentimenti che voi contestate loro?
    A venti anni si è entusiasti, si è generosi, predisposti al sacrificio per una nobile causa che non può essere quella di un'ideologia politica.
    I giovani sono più predisposti a morire che a uccidere.
    Quei ragazzi non nutrivano un odio come quello che impregna il vostro volantino. Si arruolarono volontari per reazione a una resa dolorosa, per combattere contro gli alleati invasori e non contro altri italiani che ci sparavano alle spalle.
    Il fascismo è caduto da 55 anni. Uscite dagli stereotipi secondo i quali è fascista chi non la pensa come voi, che i morti non sono tutti uguali: che quelli fascisti, o pseudo tali, sono tutti cattivi e quelli partigiani tutti buoni e perciò sostituendovi al Padreterno decidete che tutti i primi vengano mandati all'infernmo e i secondi in Paradiso (anche Mostacetti e i suoi compari, anche i garibaldini di Porzus?). Farete correre a San Pietro il pericolo di essere licenziato.
    Se quando dite «Non deve essere concessa abilitazione politica né fisica a chi sostiene la superiorità della razza» (roba di 60 anni fa) e ritenete di dare prova di maturità democratica, dobbiamo dire a voi, (ma soprattutto ai vostri maggiorenti), che la democrazia è un'altra cosa. Siamo nel campo delle opinioni e non della dottrina reale.
    E ALLORA VI DICIAMO: uscite dalla gabbia della dottrina. Sono passati 50 anni, il mondo sta cambiando, c'è il pericolo che rimaniate arretrati a mezzo secolo fa.
    Voi non sapete niente di noi: studiate la storia con spirito critico senza condizionamenti che non aiutano la conoscenza della verità.
    Affrontate il mondo delle idee guardandolo da più lati rivedendo i paroloni del volantino il cui linguaggio enfatico e predicatorio minaccia di cadere nel ridicolo.
    Ormai le convinzioni diverse non si affrontano con l'odio né nascondendo i propri errori storici o seguendo il cattivo esempio di seminatori di rancori, ma con il civile confronto dialettico.
    Non basta sostituire falce e martello con una quercia, bisogna ripulire le coscienze dall'odio.
    Solo così potremo aiutare l'Italia a ricostruirsi una coscienza civile e nazionale.
 
 
 
RAPPORTO ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI TREVISO.
STAZIONE DEI CARABINIERI DI VALDOBBIADENE
 
 
Valdobbiadene 17.6.1950
 
   « ... Com'è noto, in quei giorni elementi della brigata "Mazzini" agli ordini del comandante "Mostacetti" uccisero nella zona di Valdobbiadene, Segusino e Combai, un numero imprecisato di prigionieri. La maggior parte delle vittime era stata arrestata sotto il pretesto di un nuovo interrogatorio, dopo che, consegnate le armi, erano stati lasciati in libertà.
   Nella notte dal 4 al 5 maggio 1945, col pretesto di essere tradotti in un campo di concentramento, i destinati alla morte vennero divisi in tre drappelli:
- Il primo, sotto buona scorta, fu caricato sopra un camion e tradotto in località «Saccol» di Valdobbiadene.
- Il secondo, a mezzo di un camion, fu tradotto in località «Madean» di Combai.
- Il terzo gruppo fu tradotto in località «Bosco» di Segusino.
   Del gruppo di «Saccol» fecero parte anche due donne e un vecchio.
   In questa località i partigiani fecero fuoco con raffiche di mitra e con bombe a mano sui prigionieri, dopo averli spinti in una galleria, la quale poi fu fatta saltare con la dinamite. Il giorno dopo i cadaveri vennero rinvenuti a brandelli proiettati a lunga distanza. Lo afferma l'unico superstite sfuggito alla strage, Carlo Armando (NP della Decima) fu Giuseppe e fu Repucci Maria, nato ad Altavilla Irpina il 10-2-1925, ivi residente in via Mazzini.
   Invece quei prigionieri condotti in località «Madean», legati con filo di ferro alle mani dietro la schiena, furono maltrattati, uccisi sommariamente, spogliati di ogni avere e gettati in una fossa.
   Gli esecutori rientrarono a Valdobbiadene con lo stesso automezzo recando le spoglie e gli oggetti sottratti alle vittime.
   Uguale la sorte toccata ai prigionieri condotti in località «Bosco» di Segusino, i quali furono seviziati e, dopo, uccisi e depredati.
   Il Sindaco di Valdobbiadene Adami Riccardo, avuta notizia delle stragi, si interessò per recuperare le salme, ma i partigiani preferirono eseguire l'operazione loro stessi. Infatti nottetempo, le salme vennero trasportate, quelle di «Saccol» al cimitero di Valdobbiadene dove, dopo aver chiuso nella chiesetta il custode De Broi Bortolo, vennero sepolte in una fossa comune.
   Le vittime della località «Bosco», furono sepolte nel cimitero di Segusino.
   Le salme gettate nella buca di «Madean», a cui si era appiccato il fuoco dopo aver gettato liquidi infiammabili giorni dopo per distruggere il fetore, vennero in parte recuperare anni addietro.
   Le esumazioni eseguite nel novembre successivo, nel cimiteri di Valdobbiadene e di Segusino, portarono al rinvenimento di 39 cadaveri dei quali 27 vennero identificati e 12 rimasero sconosciuti.
   Non è stato finora possibile recuperare le salme dei due ufficiali della Xa Mas. Si tratta dei sottotenenti Rubino Ettore e De Benedictis Paolo. Il primo capo dell'autoparco ed il secondo Ufficiale d'amministrazione.
   E' risultato che questi Ufficiali, ancora nei giorni del 26 e 27 aprile, avevano spontaneamente offerto la resa al capo partigiano «Mostacetti», al maresciallo della finanza Luscia Antonio e a tale Gino Dal Prà, e avevano consegnato un numero imprecisato di automezzi, materiali di rispetto, valori e tutto quanto avevano in consegna. Si precisa che il trapasso di denaro, automezzi e varie avvenne regolarmente con scambio di ricevute firmate dalle parti.
   Il sottotenente De Benedictis consegnò ai predetti la somma di dieci milioni in assegni della Banca d'Italia e lire 500.000 in biglietti di Stato.
 Inoltre lo stesso ufficiale avrebbe consegnato a Dal Prà Gino la somma di lire 250.000 in contanti, ritirandone ricevuta. Tutto ciò lo afferma la signora Sestilli Pandolfina fu Rinaldo, futura suocera del De Benedictis, residente a La Spezia via Duca di Genova n° 6, (vedasi allegato n° 3).
   Entrambi gli ufficiali in parola, avvenuto il regolare trapasso di quanto sopra, furono lasciati liberi ed essi ebbero modo di far vedere a persone estranee, gli inventari dei materiali e valori consegnati. Nei giorni successivi furono prelevati col pretesto di chiarimenti e furono, al pari degli altri, soppressi occultandone i cadaveri, i quali a tutt'oggi non sono stati rinvenuti.
   Degli inventari di consegna, nessuna traccia.
   Le responsabilità delle soppressioni compiute in massa, con crudeltà, vengono attribuite non soltanto agli esecutori materiali, ma anche, e in massima parte, ai predetti capi: «Mostacetti»; maresciallo della finanza Luscia Antonio; Dal Prà Gino; e altri. Si narra che, specialmente il Luscia e Dal Prà, avrebbero potuto fare opera mediatrice per evitare la strage. E' diffusa la persuasione che costoro, d'accordo con il Tribunale marziale, nella imminenza del passaggio dei poteri da mani partigiane ai comandi alleati, decisero l'eliminazione dei due ufficiali (oltre agli altri) per impedire che essi palesassero l'entità dei materiali e dei denari consegnati.
   Il comando brigata «Mazzini», su specifica richiesta, ha fornito le copie delle sentenze marziali soltanto per 19 sui 50 uccisi.
   Sentenze comunque compilate giorni dopo la strage, per ordine di un ufficiale alleato, il quale era stato messo al corrente dell'eccidio dalla popolazione terrorizzata.
   E' chiaro che 31 prigionieri sono stati uccisi senza neppure identificarli. Nelle sentenze marziali si parla di condanne alla fucilazione alla schiena, ma i fatti si sono svolti mediante esecuzioni sommarie nei modi noti.
   Dette sentenze di condanna sono firmate da:
I°) PRESIDENTE «Mostacetti», nome partigiano di Rossetto Beniamino.
2°) PUBBLICO ACCUSATORE «Bianchi», nome partigiano di Dal Pont Eliseo Vittore.
3°) GIUDICE GARIBALDINO: «Bepi» nome partigiano di Tonon Bruno.
4°) GIUDICE GARIBALDINO: «Tarzan», nome partigiano di De Conti Arturo.
5°) PUBBLICO DIFENSORE: «Romo», nome partigiano di Moro Egildo.
6°) GIUDICE GARIBALDINO: «Nevio», nome partigiano di
Piccolotto Enrico.
7°) GIUDICE GARIBALDINO «Monello», nome partigiano di Bet Domenico.
 
   (Il rapporto del maresciallo Sotgiù fa anche i nomi di persone che un'ulteriore indagine avrebbe potuto indicare quali responsabili materiali degli eccidi).
   Detto verbale conclude:
 
   « ... L'odio e il lucro si sostituirono alla legalità. Per questo la gente onesta commenta tutt'ora con dolore profondo i fatti gravi e auspica inflessibile giustizia.
   Pertanto una istruttoria eseguita dal Magistrato nella sede staccata della Pretura di Valdobbiadene, tornerebbe utile alla giustizia e sarebbe ben accolta con senso di sollievo da tutta la cittadinanza».
F.to M.Ilo: Sotgiu Giuseppe
 
(Ma non si fece niente! Quei fatti e quei morti, assieme ad altri circa 80.000 repubblichini in tutta Italia, dovevano rimanere a Gloria - o vergogna? - del fenomeno «Resistenza».
I massacri inutili di Valdobbiadene, a guerra terminata, sono da classificare come «Genocidio», reato per cui non vi sono prescrizioni di tempo.
Altri nomi di capoccioni che sanno o hanno agito: Antonio Bellorini (Primula rossa), Curzio Frare (Attilio), Sante Guizzo (Saetta), Antonio Luscia (maresciallo della finanza), Gino Dal Prà, Felice Marsura e molti altri che in luogo sono conosciuti, o sono indicati come eroi nella letteratura resistenziale).
 
 
DECIMA COMANDANTE ! Ottobre 1997 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
 
 
 
DECIMA COMANDANTE ! Ottobre 1997 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

Anno di Edizione: 1994
    Ill.mo signor Sindaco…
    Sergio Bozza
    Greco&Greco editori
     
     
    INTRODUZIONE
    In casa d’altri?
    Prima presentarsi
     
     
    Noi vogliamo presentarci ai Valdobbiadenesi!
    Noi chi? Noi Ennepì!
    Noi, non cittadini di Valdobbiadene ma italiani di tutte le regioni, abbiamo chiesto al Sindaco di poter costruire un monumento sul suolo pubblico, per ricordare gli eroi-martiri uccisi nel paese.
    Quando si vuole entrare in casa d’altri è civile presentarsi. Noi lo facciamo con questo opuscolo.
    E’ un testo preparato con l’obbiettivo di "raccontarci per farci conoscere", e per contestare le vergognose menzogne sul nostro conto!
    Lo scritto è dedicato ai giovani, che durante l’ultima guerra non erano ancora nati. Ma anche a quelli di sessant’anni, ch’erano bambini. E pure ai più anziani che ricordano i fatti per esperienze dirette, per aver vissuto in quei tempi tanto diversi, in cui ci hanno conosciuti.
    A tutti questi cittadini noi diciamo che allora fummo soldati per la Patria, in divisa grigio-verde (era da un secolo il colore delle uniformi dei militari d’Italia) del reparto NP, nuotatori-parà, nella divisione Decima Mas, della RSI, Repubblica Sociale Italiana, che rappresentava il legittimo Stato del momento.
    Perché Valdobbiadene? 
    Perché, negli ultimi sei mesi di guerra, il battaglione NP fu di stanza in questa città, e gli NP reduci ricordano quel periodo con amicizia.
    Perché a Valdobbiadene più di 40 marinai (così si chiamavano i soldati della Decima, in quanto appartenenti alla fanteria della Marina) furono trucidati, a guerra finita, dai partigiani comunisti della Brigata Mazzini. (Mercenari per armi e soldi che gli inglesi lanciavano coi paracadute, ma ideologicamente seguaci di dio-Stalin e quindi furbastri e doppiamente traditori).
    Fermo restando che tutti i morti in buona fede per la Patria meritano rispetto e onoranze, con questo breve testo intendiamo dimostrare che anche quei nostri morti Ennepì della Decima meritano rispetto e onore.
    Ecco perché oggi chiediamo al Sindaco, e alla Giunta democratica di Valdobbiadene, di autorizzare la erezione di un monumento per loro.
    Pensiamo di averne il diritto per noi e l’obbligo morale e patriottico verso quei nostri Caduti.
    Siccome i mass media e i politici italiani sono ben lontano da questo concetto d’altri tempi, abbiamo deciso di rivolgerci direttamente alla cittadinanza. Vogliamo convincere che i soldati repubblicani sono stati fedeli servitori dello Stato-Patria di allora, con i suoi limiti certo, ma che non si possono giudicare con le menti di oggi, massificate dall’immoralità vincente col consumismo.
    Abbiamo pagato duramente, con sacrifici e la vita di tanti camerati, e continuiamo a pagare, ancor oggi, per leggi opportunistiche, divenute infami perché discriminanti.
    Quando la guerra ebbe termine e gli Alleati anglo-americani completavano l’invasione dell’Italia, la "Decima Mas della RSI", in ritirata dal fronte della Linea Gotica, si arrendeva al nemico che concesse l’Onore delle armi. A Valdobbiadene i 47 marinai del deposito si arresero ai partigiani con patto di salva la vita. Invece tutti (meno uno) vennero sadicamente maltrattati, torturati e massacrati con tentativi maldestri di occultamento dei cadaveri.
    I commilitoni reduci NP (nuotatori paracadutisti) vogliono ricordare con un monumento la inutile cattiveria fratricida e i nomi dei martiri caduti solo PER L’ONORE. E lo faranno!
    Alla giustizia umana il compito di processare gli autori e i responsabili del genocidio, che non ha prescrizione in nessun luogo civile del mondo, affinché certe cose diventino vergognose per chi le compie e per chi glorifica una certa Resistenza, che è un furto pure nella definizione.
    Facciamo appello ai lettori, cittadini di Valdobbiadene, affinché sollecitino le autorità comunali a concedere il permesso al monumento per gli NP.
    Queste pagine narrano la storia minima di un piccolo reparto militare, ospite non sgradito in un paesello del Trevigiano. Sono scritte da 18 protagonisti-testimoni, e possono venire lette come un romanzo-verità.
    Il testo serve anche a tentare di portare fuori i cervelli dalle massificazioni culturali, in cui furono gettati dallo sporco potere dei politici che hanno per obiettivi finali le personali fortune.
    I.B.
     
     
     
     
     
    Come indicato in premessa, questo opuscolo è dedicato ai cittadini di Valdobbiadene. Non per convertirli a diverse idee politiche o patriottiche, né per rinfacciare fatti, avvenuti 50 anni fa, dei quali probabilmente a Valdobbiadene nessuno fu responsabile. Solamente per presentarci.
    Oggi raccontiamo chi eravamo ieri.
    Per convincere che eravamo, e siamo rimasti, italiani perbene che hanno solo combattuto come soldati regolari anche se poi è fiorita una letteratura menzognera nei fatti e offensiva nei giudizi, per nascondere le viltà e le ladronerie.
    Ogni cittadino che leggerà questo opuscolo, potrà trarre le proprie valutazioni. Quello che a noi interessa sapere è se abbiamo diritto a fare una certa richiesta e se la maggioranza dei Valdobbianesi l’approverebbe.
    La lettera che segue, diretta al Sindaco, esprime gli obiettivi palesi della pubblicazione.
     
     

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