RAPPORTO ALLA PROCURA DELLA
REPUBBLICA DI TREVISO.
STAZIONE DEI CARABINIERI DI VALDOBBIADENE
Valdobbiadene 17.6.1950
« ... Com'è noto, in quei giorni elementi
della brigata "Mazzini" agli ordini del comandante "Mostacetti"
uccisero nella zona di Valdobbiadene, Segusino e Combai, un numero imprecisato
di prigionieri. La maggior parte delle vittime era stata arrestata sotto
il pretesto di un nuovo interrogatorio, dopo che, consegnate le armi, erano
stati lasciati in libertà.
Nella notte dal 4 al 5 maggio 1945, col pretesto di
essere tradotti in un campo di concentramento, i destinati alla morte vennero
divisi in tre drappelli:
- Il primo, sotto buona scorta, fu caricato sopra un camion e tradotto
in località «Saccol» di Valdobbiadene.
- Il secondo, a mezzo di un camion, fu tradotto in località
«Madean» di Combai.
- Il terzo gruppo fu tradotto in località «Bosco»
di Segusino.
Del gruppo di «Saccol» fecero parte anche
due donne e un vecchio.
In questa località i partigiani fecero fuoco
con raffiche di mitra e con bombe a mano sui prigionieri, dopo averli spinti
in una galleria, la quale poi fu fatta saltare con la dinamite. Il giorno
dopo i cadaveri vennero rinvenuti a brandelli proiettati a lunga distanza.
Lo afferma l'unico superstite sfuggito alla strage, Carlo Armando (NP della
Decima) fu Giuseppe e fu Repucci Maria, nato ad Altavilla Irpina il 10-2-1925,
ivi residente in via Mazzini.
Invece quei prigionieri condotti in località
«Madean», legati con filo di ferro alle mani dietro la schiena,
furono maltrattati, uccisi sommariamente, spogliati di ogni avere e gettati
in una fossa.
Gli esecutori rientrarono a Valdobbiadene con lo stesso
automezzo recando le spoglie e gli oggetti sottratti alle vittime.
Uguale la sorte toccata ai prigionieri condotti in
località «Bosco» di Segusino, i quali furono seviziati
e, dopo, uccisi e depredati.
Il Sindaco di Valdobbiadene Adami Riccardo, avuta notizia
delle stragi, si interessò per recuperare le salme, ma i partigiani
preferirono eseguire l'operazione loro stessi. Infatti nottetempo, le salme
vennero trasportate, quelle di «Saccol» al cimitero di Valdobbiadene
dove, dopo aver chiuso nella chiesetta il custode De Broi Bortolo, vennero
sepolte in una fossa comune.
Le vittime della località «Bosco»,
furono sepolte nel cimitero di Segusino.
Le salme gettate nella buca di «Madean»,
a cui si era appiccato il fuoco dopo aver gettato liquidi infiammabili
giorni dopo per distruggere il fetore, vennero in parte recuperare anni
addietro.
Le esumazioni eseguite nel novembre successivo, nel
cimiteri di Valdobbiadene e di Segusino, portarono al rinvenimento di 39
cadaveri dei quali 27 vennero identificati e 12 rimasero sconosciuti.
Non è stato finora possibile recuperare le salme
dei due ufficiali della Xa Mas. Si tratta dei sottotenenti Rubino Ettore
e De Benedictis Paolo. Il primo capo dell'autoparco ed il secondo Ufficiale
d'amministrazione.
E' risultato che questi Ufficiali, ancora nei giorni
del 26 e 27 aprile, avevano spontaneamente offerto la resa al capo partigiano
«Mostacetti», al maresciallo della finanza Luscia Antonio e
a tale Gino Dal Prà, e avevano consegnato un numero imprecisato
di automezzi, materiali di rispetto, valori e tutto quanto avevano in consegna.
Si precisa che il trapasso di denaro, automezzi e varie avvenne regolarmente
con scambio di ricevute firmate dalle parti.
Il sottotenente De Benedictis consegnò ai predetti
la somma di dieci milioni in assegni della Banca d'Italia e lire 500.000
in biglietti di Stato.
Inoltre lo stesso ufficiale avrebbe consegnato a Dal Prà
Gino la somma di lire 250.000 in contanti, ritirandone ricevuta. Tutto
ciò lo afferma la signora Sestilli Pandolfina fu Rinaldo, futura
suocera del De Benedictis, residente a La Spezia via Duca di Genova n°
6, (vedasi allegato n° 3).
Entrambi gli ufficiali in parola, avvenuto il regolare
trapasso di quanto sopra, furono lasciati liberi ed essi ebbero modo di
far vedere a persone estranee, gli inventari dei materiali e valori consegnati.
Nei giorni successivi furono prelevati col pretesto di chiarimenti e furono,
al pari degli altri, soppressi occultandone i cadaveri, i quali a tutt'oggi
non sono stati rinvenuti.
Degli inventari di consegna, nessuna traccia.
Le responsabilità delle soppressioni compiute
in massa, con crudeltà, vengono attribuite non soltanto agli esecutori
materiali, ma anche, e in massima parte, ai predetti capi: «Mostacetti»;
maresciallo della finanza Luscia Antonio; Dal Prà Gino; e altri.
Si narra che, specialmente il Luscia e Dal Prà, avrebbero potuto
fare opera mediatrice per evitare la strage. E' diffusa la persuasione
che costoro, d'accordo con il Tribunale marziale, nella imminenza del passaggio
dei poteri da mani partigiane ai comandi alleati, decisero l'eliminazione
dei due ufficiali (oltre agli altri) per impedire che essi palesassero
l'entità dei materiali e dei denari consegnati.
Il comando brigata «Mazzini», su specifica
richiesta, ha fornito le copie delle sentenze marziali soltanto per 19
sui 50 uccisi.
Sentenze comunque compilate giorni dopo la strage,
per ordine di un ufficiale alleato, il quale era stato messo al corrente
dell'eccidio dalla popolazione terrorizzata.
E' chiaro che 31 prigionieri sono stati uccisi senza
neppure identificarli. Nelle sentenze marziali si parla di condanne alla
fucilazione alla schiena, ma i fatti si sono svolti mediante esecuzioni
sommarie nei modi noti.
Dette sentenze di condanna sono firmate da:
I°) PRESIDENTE «Mostacetti», nome partigiano di
Rossetto Beniamino.
2°) PUBBLICO ACCUSATORE «Bianchi», nome partigiano
di Dal Pont Eliseo Vittore.
3°) GIUDICE GARIBALDINO: «Bepi» nome partigiano
di Tonon Bruno.
4°) GIUDICE GARIBALDINO: «Tarzan», nome partigiano
di De Conti Arturo.
5°) PUBBLICO DIFENSORE: «Romo», nome partigiano
di Moro Egildo.
6°) GIUDICE GARIBALDINO: «Nevio», nome partigiano
di
Piccolotto Enrico.
7°) GIUDICE GARIBALDINO «Monello», nome partigiano
di Bet Domenico.
(Il rapporto del maresciallo Sotgiù fa anche i
nomi di persone che un'ulteriore indagine avrebbe potuto indicare quali
responsabili materiali degli eccidi).
Detto verbale conclude:
« ... L'odio e il lucro si sostituirono alla
legalità. Per questo la gente onesta commenta tutt'ora con dolore
profondo i fatti gravi e auspica inflessibile giustizia.
Pertanto una istruttoria eseguita dal Magistrato nella
sede staccata della Pretura di Valdobbiadene, tornerebbe utile alla giustizia
e sarebbe ben accolta con senso di sollievo da tutta la cittadinanza».
F.to M.Ilo: Sotgiu Giuseppe
(Ma non si fece niente! Quei fatti e quei morti, assieme ad altri circa
80.000 repubblichini in tutta Italia, dovevano rimanere a Gloria - o vergogna?
- del fenomeno «Resistenza».
I massacri inutili di Valdobbiadene, a guerra terminata, sono da classificare
come «Genocidio», reato per cui non vi sono prescrizioni di
tempo.
Altri nomi di capoccioni che sanno o hanno agito: Antonio Bellorini
(Primula rossa), Curzio Frare (Attilio), Sante Guizzo (Saetta), Antonio
Luscia (maresciallo della finanza), Gino Dal Prà, Felice Marsura
e molti altri che in luogo sono conosciuti, o sono indicati come eroi nella
letteratura resistenziale).
DECIMA COMANDANTE ! Ottobre 1997 (Indirizzo e telefono: vedi
PERIODICI)
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